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L'ultimo inganno

L'ultimo inganno

L’ultimo inganno / un’altra Iliade (2010) è uno spettacolo teatrale, produzione Mana Chuma Teatro, con Salvatore Arena. Il testo e la regia sono di Salvatore Arena e Massimo Barilla.

Ci sono due personaggi; due dimensioni, due altezze. Due linguaggi e due tempi distinti.
Una vedetta troiana condannata a vivere, condannata a ricordare.
Un greco fuori dal coro. Cantore disilluso tra le pieghe del potere. Cinico e tragicomico. Un po’ Iago un po’ buffone.

Il primo personaggio, la sentinella, sta in alto, come costretto sopra qualcosa di precario, quello che resta delle mura, forse. Anche la sua lingua è alta. Alta, ma terrosa. Come masticasse sabbia insieme alle parole.
L’altro, Tersite, è in basso, lo spazio è suo, grondante del suo idioma, dei suoi artifici, delle sue offese, della sua arte esuberante.

La vedetta è fuori dal tempo, intrappolato dentro al buio, incastrato nelle fessure di una notte eterna, sempre la stessa, quella “da cui non c’è ritorno”, quella “in cui tutto è perduto”.
E dentro questa notte è in lotta perpetua con i grumi della storia, fatue persistenze “più vere del freddo marmo” che si addensano e diradano, scostanti come le ombre che vengono a visitarlo. Lui le scaccia, ma non può farne a meno. Non può fare a meno di implorarle e aspettarsi una discolpa. Che qualcuno glielo dica, non è colpa sua.
L’altro è nel pieno del suo tempo, troppo al centro di tutto, la luce delle fiaccole, le risa dei compagni, le pacche sulle spalle. Interprete perfetto di sé stesso. Troppo finto per non essere vero. In lui tutto è artificio, costruzione, e la sua parola (un dialetto siculo-calabro che gonfia e straripa) è multipla. Circuisce, ammalia, ma a volte arriva dritta come freccia. Chiedetelo ad Achille! Ad Agamennone!

La vedetta è un animale in fuga, in fuga da se stesso, ma la sua fuga è circolare e il cerchio è troppo stretto, come un cane legato a un palo nel deserto.
E in questo movimento circolare le nebbie si diradano, e lui torna a vedere tutto, “ogni singola freccia scagliata”, “ogni goccia di sangue versato”, il visibile e l’invisibile, “la pelle dei Greci cotta al sole”, ma anche i loro pensieri, le loro paure, la loro stanchezza.
E allora, nella sua visione le cose sono chiare, i fatti sono lame, taglienti ed affilate.
Tersite si muove dritto in avanti, al cuore delle cose. Le sue parole vanno dappertutto, ma lui no, vuole tornare a casa e lo dice, “anche tra la merda, ma vivo”. Ha un pensiero fisso e gli va incontro continuando la sua recita, e più l’attesa è lunga e maggiormente accelera il passo, corre verso quello che l’aspetta.

L’ultimo inganno è fondamentalmente questo: un incontro, l’unico sguardo incrociato dei due personaggi al culmine della storia. Quello che poteva essere e non è stato.
La verità detta per l’ultima e unica volta da chi la verità non l’ha mai detta e che per questo non è creduto. Eccola la verità! E’ lì, la si potrebbe toccare. La si potrebbe afferrare, quasi. E invece, no… se la speranza e la stanchezza ti confondono la vista.